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Napoli, 18 novembre 2016

La testa di cavallo in bronzo attribuita a Donatello, originariamente collocata all’interno di palazzo Diomede Carafa a Spaccanapoli, da domani avrà una collocazione degna di nota all’interno del Museo Archeologico Nazionale di NapolI (MANN). Per l’occasione tornerà la sfilata storica per le strade di Napoli, organizzata dalla Compagnia dell’Aquila Bianca e dal MANN con il patrocinio del comune di Napoli. La partenza dei circa 150 figuranti sarà infatti proprio dal Museo Archeologico Nazionale, alle 15,30, dopo un doveroso omaggio all’opera di Donatello; il corteo della sfilata aragonese attraverserà la città dal museo fino a piazza del Plebiscito lungo via Toledo.

La storia della testa di cavallo è nota: il re Alfonso il Magnanimo commissionò a Donatello una enorme statua equestre che avrebbe dovuto sormontare il maestoso arco di trionfo simbolo del potere aragonese ma il re morì solo due anni dopo. La testa di cavallo in bronzo fu inviata Lorenzo il Magnifico a Diomede Carafa e là rimase, nel palazzo del Carafa, dal 1471 fino al 1806, quando fu donata al Museo.  La storia della testa di cavallo fu ricostruita solo più tardi, dato che per anni si pensò che potesse essere parte di un monumento equestre di epoca romana originariamente collocato più o meno dove è adesso l’obelisco di San Gennaro. 

 

Immagini d’archivio, giostra dei sedili 2015 

 l’evento su facebook: https://www.facebook.com/events/658217431007733/
Il comunicato stampa

Musei: MANN riscopre cavallo di Donatello, simbolo Napoli 

L’opera in bronzo troverà il suo posto nel percorso museale 

NAPOLI 

(ANSA) – NAPOLI, 18 NOV – É uno dei simboli di Napoli ma ci voleva un direttore toscano, Paolo Giulierini, alla guida da un anno del Museo Archeologico (più 30% di visitatori), per rendere i dovuti onori alla ‘Testa di cavallo Carafa’, bronzo di Donatello che domani, accompagnato da una sfilata storica in costumi aragonesi, troverà il suo degno posto nel percorso museale. Un metro e 75 centimetri, ammirata da Goethe nel quattrocentesco palazzo nobiliare di via San Biagio dei librai, la testa era forse parte di un monumento equestre di 5 metri che Donatello avrebbe iniziato per Alfonso V d’Aragona, destinato al portale d’ingresso di Castel nuovo. L’opera incompiuta fu poi inviata da Lorenzo il Magnifico al Re Ferrante che la donò al suo cortigiano Diomede Carafa nel 1471 e quindi posta nel cortile di quello che per secoli si chiamò, appunto, ‘il palazzo del cavallo di bronzo’. Fino a che la protome, venerata dal popolo per una leggenda che la legava al Virgilio Mago autore di statue di animali portafortuna, venne donata al Museo Archeologico dall’ultimo principe di Colubrano Carafa, nel 1809. Da allora nel palazzo ai decumani c’è una copia in terracotta. Considerata dapprima reperto archeologico dal Vasari (che la riconobbe poi di Donatello) e Winckelmann, al MANN, tra i tesori pompeiani e Farnesi, la testa Carafa è stata sempre poco visibile al pubblico. Eppure il prof. Francesco Caglioti nel 2014 sciolse ogni dubbio sul suo autore grazie a documenti che attestano la commissione al Donatello da parte di Alfonso V d’Aragona e i mandati di pagamento al maestro fiorentino. “Il rientro della testa Carafa nel MANN assume un significato di grande rilievo – spiega Giulierini che da appuntamento a napoletani e turisti per lo svelamento nella nuova collocazione – L’opera di Donatello a Napoli collega immediatamente la città partenopea ai suoi capolavori di Firenze, si pensi alla statua del David o alla Maddalena, o a quelli di Padova (il monumento equestre del Gattamelata). Il Mann, che accolse il bronzo nell’Ottocento diventando l’ultima dimora di questa straordinaria opera, guadagna tre secoli di riflessione sul mondo classico. Non celebra cioè solo l’apporto dei Borbone alla rinascita dell’archeologia occidentale ma irradia i valori dell’Umanesimo e del Rinascimento che rappresentano forse la più grande rivoluzione culturale della storia”. ”Il Rinascimento – ricorda il cortonese Giulierini – era un mondo ancora fatto di manoscritti da poco riscoperti, di studi filologici, di qualche, raro, rinvenimento archeologico e di contemplazione di monumenti che emergevano ancora, quasi magicamente, nelle città che tornavano a nuova vita. Alle corti di Firenze, Milano, Roma, Mantova, Ferrara rispondono le Accademie, veri cenacoli di studiosi, come quella di Napoli: una Napoli aperta e osmotica, che sarà capace di importare anche la cultura fiamminga”